Il sindacalista Mico Geraci veniva brutalmente assassinato la sera dell’8 ottobre 1998 a Caccamo, sotto gli occhi della moglie e del figlio, che cercò invano di reagire. Geraci, esponente della Uil di 44 anni, stava per candidarsi a sindaco di Caccamo, una zona nota per l’influenza mafiosa. Sei colpi di fucile a pompa lo colpirono mortalmente in piazza Zafferana, in un agguato orchestrato dalla mafia che non tollerava il suo impegno contro la criminalità organizzata.
Per anni, le indagini sull’omicidio sono rimaste irrisolte. Solo di recente, grazie alle confessioni di tre collaboratori di giustizia – Massimiliano Restivo, Emanuele Cecala e Andrea Lombardo – si è fatta luce su chi avrebbe ordinato il delitto: i fratelli Salvatore e Pietro Rinella, boss di Trabia. A loro si sarebbero aggiunti Filippo Lo Coco e Antonino Canu, ritenuti gli esecutori materiali, entrambi uccisi poco dopo per aver protestato per il mancato ingresso in Cosa Nostra, la ricompensa promessa per il loro crimine.
Le indagini, dirette dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci e Bruno Brucoli, hanno fatto emergere come Mico Geraci fosse un simbolo di resistenza, in un contesto in cui la mafia dominava incontrastata, screditando chiunque, come lui, osasse sfidarla pubblicamente.