Il 28 ottobre 1922 segna una delle date più importanti e controverse nella storia d’Italia: la Marcia su Roma. Questo evento non fu tanto una marcia vittoriosa quanto una marcia indietro da parte del re Vittorio Emanuele III, che decise di non opporsi all’insurrezione fascista, divenendo dunque un complice dell’ascesa di Mussolini al potere.
A partire dal 1920, l’Italia era teatro di violenze fasciste diffuse. Case del popolo, sedi sindacali, sezioni di partito e giornali venivano devastati dalle camicie nere. La Milizia fascista, un vero esercito privato, si era già costituita, e le violenze erano ormai all’ordine del giorno in diverse regioni italiane.
Il 24 ottobre 1922, a Napoli, Mussolini decise di accelerare l’insurrezione. Mobilitò circa 20-23 mila fascisti con l’intento di occupare Roma. Tuttavia, questi fascisti non marciarono sulla città, ma arrivarono in treno.
Di fronte a questa minaccia, il Presidente del Consiglio Facta propose lo stato d’assedio, ma Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto necessario. Il re, nonostante le pressioni, decise di non opporsi ai fascisti, agevolando così l’ascesa di Mussolini. Questo rifiuto di agire segnò il successo dell’insurrezione e convinse le autorità locali che il governo non avrebbe fermato il fascismo.
Mussolini accettò quindi l’invito del re di recarsi al Quirinale. Ancora a Milano la notte del 28 ottobre, si mise in treno per Roma, dove arrivò il mattino seguente e si presentò immediatamente a Vittorio Emanuele III. Nonostante le colonne fasciste stanziate a pochi chilometri da Roma, l’esercito non intervenne, permettendo a Mussolini di entrare nella capitale praticamente senza resistenza.
La Marcia su Roma si concluse quindi non con una battaglia, ma con una serie di decisioni politiche e militari che favorirono l’ascesa del fascismo. L’evento rappresenta una svolta cruciale nella storia italiana, segnando l’inizio del regime fascista e delle sue conseguenze devastanti per la nazione.