Con la scomparsa di Papa Francesco, si spegne una voce che ha saputo parlare al cuore della Sicilia come pochi. Un pontefice che, più che visitarla, l’ha abbracciata spiritualmente. Che ha saputo leggere le sue ferite e indicare, con fermezza e tenerezza, strade di speranza.
Dalla visita pastorale a Piazza Armerina nel 2018 all’ultima udienza del 6 dicembre 2024 con studenti e docenti dello Studio Teologico San Paolo di Catania, Francesco non ha mai smesso di rivolgere parole di verità e di amore a questa terra complessa, bellissima e martoriata.
Nel 2018 parlò ai fedeli della necessità di una Chiesa che non sia “fredda e distaccata”, ma “che si mette in gioco”, che scende nelle strade e sta vicino ai poveri. Invitò a non cedere alla rassegnazione, a scegliere la legalità, a restare umani.

Nel 2024, rivolgendosi al mondo accademico e teologico siciliano, lanciò un messaggio ancora più forte: “La mafia sempre impoverisce. Sempre”. Denunciò con parole chiare le piaghe della corruzione, delle disuguaglianze, dell’abbandono delle aree interne. E allo stesso tempo, piantò semi di futuro: “La formazione sia a servizio della gente, dei poveri, degli ultimi”.
Fu un richiamo alla speranza, quella vera, concreta, che non si limita ai sogni ma si traduce in scelte. “Non spegniamo la speranza dei poveri, dei migranti”, disse. E ancora: “La lamentela è per chi non ha coraggio. Voi abbondate nella speranza”.
Papa Francesco ha amato la Sicilia con la franchezza del padre e la compassione del pastore. Ne ha riconosciuto i dolori, ma anche la forza, la fede e il potenziale umano e spirituale.
Oggi, nel salutarlo, resta viva la sua eredità: una Sicilia chiamata ad “abbondare nella speranza”, a camminare con coraggio e a diventare davvero – come lui auspicava – “crocevia di popoli, laboratorio di fraternità, casa per gli ultimi”.