L’8 gennaio 1993, a Barcellona Pozzo di Gotto, il cronista Beppe Alfano fu assassinato in un agguato mafioso. Era noto per il suo lavoro come corrispondente del quotidiano La Sicilia, per cui aveva indagato su intrecci tra politica, criminalità organizzata e affari illeciti. Alfano, anche insegnante e sindacalista, aveva scelto di raccontare la verità, senza compromessi, nonostante le minacce.
L’omicidio e le indagini
Beppe Alfano venne colpito da tre proiettili mentre era nella sua auto, una Renault 9 amaranto, in via Marconi. L’omicidio suscitò grande clamore, ma le indagini si sono rivelate complesse e piene di ombre. Giuseppe Gullotti, boss locale, è stato condannato come mandante, ma restano sconosciuti i dettagli su esecutori materiali e veri mandanti.

Un’eredità indelebile
La figura di Beppe Alfano incarna il coraggio e il sacrificio di chi sfida la mafia con le armi della parola e della denuncia. La figlia Sonia Alfano, anche eurodeputata, continua a battersi per la verità sul caso. Ogni anno, il suo nome viene ricordato come esempio di impegno civile, mentre la lotta contro le mafie prosegue.
Il ricordo delle istituzioni
Il Presidente Sergio Mattarella lo ha definito un simbolo di legalità e giustizia, sottolineando quanto il suo sacrificio rappresenti un richiamo alla responsabilità collettiva per sradicare il potere mafioso. Alfano rimane un esempio di giornalismo libero, capace di denunciare senza paura, un impegno che continua a ispirare le nuove generazioni di cronisti.