Si è concluso un altro ciclo di attività nell’ambito del progetto “Oltre la Meta”, realizzato dall’Istituto Penale per Minorenni (IPM) di Caltanissetta e dalla Nissa Rugby. L’iniziativa rientra nel programma SPORT DI TUTTI – “Carceri”, promosso dal Ministero dello Sport tramite il Dipartimento per lo Sport, in collaborazione con Sport e Salute S.p.A. e in sinergia con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC).
Nel corso di 24 incontri, i tutor, gli operatori e i volontari di Naponos hanno lavorato con i giovani detenuti, guidandoli nel riconoscimento, nella gestione e nel superamento della rabbia attraverso attività e tecniche psico-teatrali.

Diletta Costanzo, formatrice teatrale e cinematografica con specializzazione in Neuroeducazione ed educazione emozionale, ha individuato nella rabbia l’emozione centrale da affrontare e, nel suo superamento, l’obiettivo finale: La rabbia è una delle emozioni più sentite e più diffuse tra i detenuti di un penitenziario minorile. Questa emozione, esattamente come tutte le altre, non ha degli aspetti positivi o negativi (anche se il parere comune la descrive come una pessima emozione). In realtà è deleterio il nostro modo di reagire alla rabbia, il non controllo che agiamo su di essa, il non voler sapere perché è suonato un campanello dentro di noi che ci avvisa che qualcosa non va. In sintesi, spesso è pessimo il nostro modo di sostenere, incanalare e gestire la rabbia, e i risultati nel medio e lungo termine possono portarci a rimuoverla, a negarla, a sfogarla in parole e azioni eccessive e sproporzionate”.
Il gruppo di lavoro è partito dall’osservazione del gioco del Rugby, dove per esempio, in una nota ricerca condotta da Keleman si è riscontrato che se lo scopo del gioco è quello di portare la palla oltre la linea del fondo campo avversario e di schiacciarla a terra, oppure di spedirla con un calcio arrivando poi, per primi a toccarla, ciò obbligatoriamente, nel corso dei secoli, ha stabilito delle regole sempre più rigide. Lo scopo è quello di andare in “meta” e questo specifico compito è affidato agli 8 “avanti” giocatori che per ricoprire tale ruolo non devono soltanto essere forti, dinamici e intelligenti ma devono agire con un grande senso della cooperazione. La cooperazione “ritualizza” la rabbia e l’aggressività in campo, e le incanala verso un obiettivo che ne spoglia l’autonomia e l’irrazionalità. Da questo presupposto, il laboratorio teatrale ha dapprima osservato le regole del Rugby, ha costruito un legame di fiducia tra utenti e operatore, ha razionalizzato l’emozione della rabbia e le sue manifestazioni visibili e invisibili, ha costruito una dinamica di cooperazione basic che consentisse ai partecipanti di conoscersi e riconoscersi nello stesso gruppo d’interesse, ha guidato il gruppo a riconoscere nel superamento della rabbia l’obiettivo comune.
Diletta Costanzo ‘svela’ la struttura: “Le tecniche utilizzate sono quelle dello psicodramma, del role playing, del mirroring effect, del soliloquio. Ogni singolo utente ha verbalizzato al gruppo (scegliendo una tra le tecniche proposte) i motivi che scatenavano la sua rabbia. Il gruppo si è impegnato prima ad entrare in empatia, poi a mettere in scena la causa scatenante e infine a trovare soluzioni possibili per risolverla. Il teatro si rivela da sempre una delle arti più adattabili all’osservazione e alla gestione delle emozioni. Il laboratorio teatrale specifico ha prodotto un miglioramento degli aspetti sociali tra detenuti, un affinamento della capacità di ascolto degli utenti, un allenamento delle proprie capacità di empatia e di problem solving”.
Aneddoto disvelante: “Dei 10 detenuti che hanno svolto il progetto solo uno aveva avuto esperienze di teatro. Vedendo il disagio dei compagni nel mettersi in gioco nelle attività del progetto li ha esortati a non farsi intimidire o spaventare ma, al contrario, ha spiegato, di sia iniziativa, che tutti facciamo teatro qualche volta nella vita senza accorgercene. Come quando cantiamo a squarciagola l’inno nazionale prima che comincia una partita dell’Italia, e crediamo di essere dei cantanti con una folla che ci applaude. A quel punto, alla partenza del primo che intonava l’inno tutti gli altri lo hanno seguito (anche gli stranieri che non conoscevano neanche una parola). La lezione si è conclusa con un breve concerto di tutte le canzoni conosciute dai ragazzi.”